mercoledì 5 agosto 2015

La Vespa 98, il borotalco nel convogliatore e il suo inventore, l'ing Corradino d'Ascanio.

Corradino d’Ascanio (Popoli 1891 – Pisa 1981) è sicuramente una delle menti più brillanti e visionarie che l’industria delle due ruote a motore abbia mai conosciuto. Non è sua la paternità del veicolo scooter, ci sono stati altri esempi anche prima della Seconda Guerra Mondiale, come ad esempio la ABC Skootamota del 1921 o il prototipo Fiat del 1938 con la leva del cambio piazzata come quella di un’automobile, ma è sicuramente sua la realizzazione più geniale, utile ed anche bella del più cittadino dei veicoli.
Di Vespa ne sono state costruite oltre 17 milioni di esemplari dalla prima del 1946, ma paradossalmente Corradino D’Ascanio la considerava la sua “rovina”. Perché il successo dello scooter più famoso al mondo aveva, di fatto, impedito alla Piaggio di continuare a finanziare gli studi sull’elicottero, la vera ragione di vita e il sogno dell’ingegnere abruzzese.
“L’aviazione è stata per me una continua febbre. Fin da bambino volare era per me il sogno più bello e accarezzato. Per ore stavo a guardare le rondini e le invidiavo”. Così diceva l’ingegner D’Ascanio, che prima di diventare il progettista della Vespa aveva costruito vari prototipi di elicottero ed è riconosciuto come uno dei padri di questo oggetto molto complicato e ingegneristicamente molto impegnativo.
È il 1930 quando, sull’aeroporto di Ciampino, il suo elicottero si solleva e vola stabilmente. Ma gli enormi costi di realizzazione dell’elicottero mandano quasi in rovina D’Ascanio, che dalla sua fervida mente congegna nel 1931 un’elica alla quale si possa variare il passo in volo: l’invenzione interessa la Piaggio per dotarne i suoi motori che venivano montati sui bombardieri. Da qui lì ingresso nella fabbrica di Pontedera nel 1934 (vi rimarrà fino al 1961) all’inizio come direttore tecnico dell’ufficio studi delle eliche con la richiesta di integrare lo stipendio con una royalty del 10% per ogni elica venduta. L’attività aeronautica di D’Ascanio continuerà anche dopo la seconda guerra Mondiale ma viene interrotta nel 1952 complice un incidente di volo che porta Enrico Piaggio a bloccare ogni sviluppo dell’elicottero. L’ingegnere abruzzese si dedicherà maggiormente allo scooter e alla piccola automobile di Piaggio, la Vespa 400 cc con motore bicilindrico due tempi di 393 cc, cambio a tre marce e velocità massima di 90 km/h.
Corradino d’Ascanio fu anche un grande inventore che spaziò da oggetti come il distributore orario di sigarette (fatto per se stesso, per cercare di fumare meno) a un sistema per monitorare automaticamente l’inclinazione degli aeroplani lateralmente e nel beccheggio, a un forno elettrico per la cottura del pane, una macchina per la ricerca e la catalogazione dei documenti, (1925), il segnalatore di eccesso di velocità, ma anche l’embrione della cyclette. Per spingere ancora di più le vendite della Vespa, progettò degli espositori “magici” che facevano apparire lo scooter sollevato da una colonna d’acqua oppure in equilibrio su un ramo di pesco (con un adeguato contrappeso ben occultato alla base) sino a far correre letteralmente la Vespa senza nessun sostegno su un sottile filo metallico grazie a un giroscopio che la teneva in perfetto equilibrio: una vera magia!
Perché la Vespa ha avuto un così grande successo planetario? Non è facile rispondere a questa domanda. Venne presentata la prima volta a Torino, il 14 marzo del 1946 alla mostra della Meccanica e Metallurgia, poi in pompa magna a Roma, al Golf Club e venne venduta nelle concessionarie Lancia perché si pensava che fosse più adatta a un utente non motociclista. Prima di offrirla alla casa automobilistica venne chiesto ai Parodi, i proprietari della Moto Guzzi, di proporla nella loro rete commerciale, ma gli armatori genovesi non la ritennero interessante per i loro clienti. La Vespa 98 poteva essere acquistata anche a rate, costava 55.000 lire (lo stipendio medio di un operaio era di 10.000 lire) per il modello Normale e 61.000 lire per quello lusso, che differiva dallo standard per il manubrio cromato e i listelli della pedana con il profilo gommato. All’inizio non riuscì subito ad attirare i motociclisti per via del pregiudizio delle ruote piccole, che non garantivano la stabilità di quelle più grandi da moto, e non interessava gli automobilisti che potevano permettersi più comode e stabili quattro ruote in un’Italia dalle strade massacrate dalla guerra. Però, rispetto a quanto si è sempre detto, non è vero che la Vespa all’inizio fu un insuccesso tanto che ne furono costruite 15.239 esemplari nei suoi tre anni di produzione. E’ vero, invece, che se ne costruirono poche per la mancanza di materie prime e di macchinari adatti allo stampaggio delle scocche.
La prima 98 resta in produzione due anni, poi arriva la 125 e comincia veramente la grande diffusione e si comincia così ad apprezzarne la razionalità, la robustezza, l’affidabilità e l’economia di esercizio. Ovviamente, la Piaggio sostiene il suo prodotto con azioni che oggi chiameremmo di marketing, come i club, i raduni, la partecipazione alle gare più dure come la Sei Giorni. Torniamo però un passo indietro e alle considerazioni di D’Ascanio su quello che doveva essere la Vespa. L’ingegnere abruzzese voleva avere carta bianca da Enrico Piaggio: assolutamente acerbo di motociclette (anche se il suo primo aereo aveva come motore un bicilindrico Harley-Davidson) D’Ascanio aveva pensato la Vespa come un veicolo adatto a chi era digiuno di ruote a motore, anche indicato per il pubblico femminile. Così nasce il cambio al manubrio dove basta ruotare la leva per innestare la marcia, non occorre scavalcare un serbatoio per salire in sella, non ci sono cavi e catene in vista che possono rompersi, la completa carenatura non sporca gli abiti e le ruote sono facilmente smontabili per riparare alle forature. E poi, ottimizzando le sue esperienze aeronautiche, studia una scocca di metallo, quindi robusta e facilmente riparabile, al posto del telaio, la ruota anteriore prende lo spunto dal carrello anteriore degli aerei. Tutto lo scooter è stato progettato pensando a una realizzazione in grandi numeri, in modo da essere il più economico possibile, tanto è vero che Piaggio, senza avere in mano anche un solo ordine, ne prevede la produzione di 10.000 pezzi.
È un veicolo che a differenza della motocicletta vera e propria può andar bene per tutti i ceti sociali e per ambo i sessi. La sua struttura non implica acrobatismi per salire in sella e non impegna affatto per mantenerla in equilibri a velocità ridotta in mezzo al traffico”. Così scriveva Motociclismo sul fascicolo di aprile del 1946 e proprio questa facilità della guida, che la caratterizza ancora oggi, porterà al vero successo la Vespa.
Il suo motore viene costruito appositamente per questo veicolo: è un semplice due tempi (98 cc, alesaggio x corsa 50 x 50 mm, miscela al 5%) posizionato sul lato destro con l’albero secondario del cambio che è innestato direttamente sulla ruota motrice. Il cambio a tre rapporti è comandato dalla manopola girevole al manubrio che innesta le marce tramite una serie di rinvii mentre l’albero motore ha sul lato sinistro la frizione a dischi multipli e su quello destro il volano magnete, sul quale è calettata la ventola per il raffreddamento forzato. Le ruote in lamiera e scomponibili sono da 8 pollici (i pneumatici da 3,50) e montate a sbalzo. Il telaio è una monoscocca saldata e la sola sospensione è quella anteriore il cui molleggio è garantito da due molle a chiocciola mentre dietro non esiste sospensione e il motore è montato su un telaio costituito da un braccio tubolare dove si blocca il motore e da una struttura ad U che si innesta alla scocca. La Vespa è lunga 1.655 mm, ha la sella a 700 mm da terra e pesa a vuoto 60 kg. Le prestazioni dichiarate sono modeste perché la potenza è di 3,2 CV a 4.500 giri, la velocità massima di 60 km/h e il consumo di 50 km/l.
I grandi pregi di questo veicolo sono quindi l’estrema facilità d’uso, la proiettività e l’affidabilità. L’avviamento era facilissimo, la frizione non era poi molto dolce nel distacco anche perché le guarnizioni dei dischi erano poco più che tappi di sughero, gli innesti del cambio, di conseguenza, non erano proprio prontissimi anche a causa dei giochi che si formavano lungo la via di trasmissione delle lunghe bacchette che partivano dal manubrio per arrivare al motore. La velocità massima era più vicina ai 55 km/h effettivi che ai 60 km/h dichiarati e il consumo si assestava sui 30 km/l al posto degli ottimistici 50. Ma la Vespa ripagava abbondantemente perché sapeva digerire benzine e oli da miscela di pessima qualità come le dissestate strade italiane, magari trasportando ben più di due persone.
Dal numero 2-1996 di Motociclismo d’Epoca, dove è stato pubblicato un corposo dossier, ben 38 pagine, sulla storia della prima Vespa, abbiamo riportato gli aneddoti di Anchise Del Corso, classe 1925, entrato alla Piaggio nel 1940 e in forza al reparto sperimentale e sala prove e dal 1945 al 1964. Del Corso ricorda alcune curiosità relative ai collaudi delle prime Vespa: "Il raffreddamento della testa e del cilindro non era omogeneo. Cosi l'ingegner D'Ascanio ebbe l'idea di immettere borotalco nel convogliatore per vedere bene dove andasse (o non andasse) a battere l'aria inviata dalla ventola. Seppure molto empirica, questa prova (eseguita naturalmente al banco) diede indicazioni utili per migliorare il raffreddamento, ma trasformò i presenti in pesci infarinati. Per provare la tenuta delle gomme sul bagnato non si aspettava certo che piovesse: ci facevamo gettare sulla strada, specialmente in curva, delle gran secchiate d'acqua e poi ci passavamo sopra. Per affrettare il rodaggio dei motori, aprivamo lo sportello del carburatore e ci facevamo precedere lungo una strada polverosa da un mezzo che trascinava fascine, sollevando così un gran polverone: Un po' ci entrava nei polmoni ma un po' anche nel motore, determinando un perfetto accoppiamento tra cilindro e pistone”.
Sulle origini del nome Vespa si sono scritte molte “verità”, come quella del rumore di scarico simile a quello prodotto dall’insetto, ma la più accreditata è quella riferita al fatto che Enrico Piaggio vedendola con quella sua codona e la vita sottile cavalcata da un robusto collaudatore abbia detto “reggerà il peso con quella sua vitina da vespa?”. Ma esisteva un’altra Vespa, sempre a due ruote e costruita nel 1943 da un’altra azienda aeronautica, la MV Agusta. Viste le sorti sicuramente già segnate della Seconda Guerra mondiale anche la MV che produceva aerei su licenza e pure gli riparava, pensò di riconvertirsi alla produzione di motociclette. Realizzato in gran segreto un prototipo, nascondendolo ai soldati tedeschi che occupavano la fabbrica, la moto era una semplice due tempi con motore di 98 cc, tre marce e capace di una potenza di 3,5 CV a 4.800 giri. Pesava solo 70 kg, sfiorava i 65 km/h e costava 135.000 lire. E il suo nome, almeno all’inizio era proprio Vespa, ma poi si rimediò sulla sigla che ne evidenziava la cilindrata poiché la Miller Balsamo di Milano aveva già depositato questo nome nel 1935. La Vespa di Piaggio ha questo nome sullo scudo probabilmente perché non era considerata una “vera” moto, nonostante che nel brevetto depositato nell’aprile del 1946 la si presenti come: “motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica”.

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