Corradino d’Ascanio (Popoli 1891 – Pisa 1981) è sicuramente una delle
menti più brillanti e visionarie che l’industria delle due ruote a
motore abbia mai conosciuto. Non è sua la paternità del veicolo scooter,
ci sono stati altri esempi anche prima della Seconda Guerra Mondiale,
come ad esempio la ABC Skootamota del 1921 o il prototipo Fiat del 1938
con la leva del cambio piazzata come quella di un’automobile, ma è
sicuramente sua la realizzazione più geniale, utile ed anche bella del
più cittadino dei veicoli.
Di Vespa ne sono state costruite oltre 17 milioni di esemplari dalla
prima del 1946, ma paradossalmente Corradino D’Ascanio la considerava la
sua “rovina”. Perché il successo dello scooter più famoso al mondo
aveva, di fatto, impedito alla Piaggio di continuare a finanziare gli
studi sull’elicottero, la vera ragione di vita e il sogno dell’ingegnere
abruzzese.
“L’aviazione è stata per me una continua febbre. Fin da bambino
volare era per me il sogno più bello e accarezzato. Per ore stavo a
guardare le rondini e le invidiavo”. Così diceva l’ingegner D’Ascanio,
che prima di diventare il progettista della Vespa aveva costruito vari
prototipi di elicottero ed è riconosciuto come uno dei padri di questo
oggetto molto complicato e ingegneristicamente molto impegnativo.
È il 1930 quando, sull’aeroporto di Ciampino, il suo elicottero si
solleva e vola stabilmente. Ma gli enormi costi di realizzazione
dell’elicottero mandano quasi in rovina D’Ascanio, che dalla sua fervida
mente congegna nel 1931 un’elica alla quale si possa variare il passo
in volo: l’invenzione interessa la Piaggio per dotarne i suoi motori che
venivano montati sui bombardieri. Da qui lì ingresso nella fabbrica di
Pontedera nel 1934 (vi rimarrà fino al 1961) all’inizio come direttore
tecnico dell’ufficio studi delle eliche con la richiesta di integrare lo
stipendio con una royalty del 10% per ogni elica venduta. L’attività
aeronautica di D’Ascanio continuerà anche dopo la seconda guerra
Mondiale ma viene interrotta nel 1952 complice un incidente di volo che
porta Enrico Piaggio a bloccare ogni sviluppo dell’elicottero.
L’ingegnere abruzzese si dedicherà maggiormente allo scooter e alla
piccola automobile di Piaggio, la Vespa 400 cc con motore bicilindrico
due tempi di 393 cc, cambio a tre marce e velocità massima di 90 km/h.
Corradino d’Ascanio fu anche un grande inventore che spaziò da
oggetti come il distributore orario di sigarette (fatto per se stesso,
per cercare di fumare meno) a un sistema per monitorare automaticamente
l’inclinazione degli aeroplani lateralmente e nel beccheggio, a un forno
elettrico per la cottura del pane, una macchina per la ricerca e la
catalogazione dei documenti, (1925), il segnalatore di eccesso di
velocità, ma anche l’embrione della cyclette. Per spingere
ancora di più le vendite della Vespa, progettò degli espositori “magici”
che facevano apparire lo scooter sollevato da una colonna d’acqua
oppure in equilibrio su un ramo di pesco (con un adeguato contrappeso
ben occultato alla base) sino a far correre letteralmente la Vespa senza
nessun sostegno su un sottile filo metallico grazie a un giroscopio che
la teneva in perfetto equilibrio: una vera magia!
Perché la Vespa ha avuto un così grande successo planetario? Non è
facile rispondere a questa domanda. Venne presentata la prima volta a
Torino, il 14 marzo del 1946 alla mostra della Meccanica e Metallurgia,
poi in pompa magna a Roma, al Golf Club e venne venduta nelle
concessionarie Lancia perché si pensava che fosse più adatta a un utente
non motociclista. Prima di offrirla alla casa automobilistica
venne chiesto ai Parodi, i proprietari della Moto Guzzi, di proporla
nella loro rete commerciale, ma gli armatori genovesi non la
ritennero interessante per i loro clienti. La Vespa 98 poteva essere
acquistata anche a rate, costava 55.000 lire (lo stipendio medio di un
operaio era di 10.000 lire) per il modello Normale e 61.000 lire per
quello lusso, che differiva dallo standard per il manubrio cromato e i
listelli della pedana con il profilo gommato. All’inizio non riuscì
subito ad attirare i motociclisti per via del pregiudizio delle ruote
piccole, che non garantivano la stabilità di quelle più grandi da moto, e
non interessava gli automobilisti che potevano permettersi più comode e
stabili quattro ruote in un’Italia dalle strade massacrate dalla
guerra. Però, rispetto a quanto si è sempre detto, non è vero che la
Vespa all’inizio fu un insuccesso tanto che ne furono costruite 15.239
esemplari nei suoi tre anni di produzione. E’ vero, invece, che se ne
costruirono poche per la mancanza di materie prime e di macchinari
adatti allo stampaggio delle scocche.
La prima 98 resta in produzione due anni, poi arriva la 125 e comincia veramente la grande diffusione e
si comincia così ad apprezzarne la razionalità, la robustezza, l’affidabilità
e l’economia di esercizio. Ovviamente, la Piaggio sostiene il suo
prodotto con azioni che oggi chiameremmo di marketing, come i club, i
raduni, la partecipazione alle gare più dure come la Sei Giorni.
Torniamo però un passo indietro e alle considerazioni di D’Ascanio su
quello che doveva essere la Vespa. L’ingegnere abruzzese voleva avere
carta bianca da Enrico Piaggio: assolutamente acerbo di motociclette
(anche se il suo primo aereo aveva come motore un bicilindrico
Harley-Davidson) D’Ascanio aveva pensato la Vespa come un
veicolo adatto a chi era digiuno di ruote a motore, anche indicato per
il pubblico femminile. Così nasce il cambio al manubrio dove basta
ruotare la leva per innestare la marcia, non occorre scavalcare un
serbatoio per salire in sella, non ci sono cavi e catene in vista che
possono rompersi, la completa carenatura non sporca gli abiti e le ruote
sono facilmente smontabili per riparare alle forature. E poi,
ottimizzando le sue esperienze aeronautiche, studia una scocca di
metallo, quindi robusta e facilmente riparabile, al posto del telaio, la
ruota anteriore prende lo spunto dal carrello anteriore degli aerei.
Tutto lo scooter è stato progettato pensando a una realizzazione in
grandi numeri, in modo da essere il più economico possibile, tanto è
vero che Piaggio, senza avere in mano anche un solo ordine, ne prevede
la produzione di 10.000 pezzi.
“È un veicolo che a differenza della motocicletta vera e propria
può andar bene per tutti i ceti sociali e per ambo i sessi. La sua
struttura non implica acrobatismi per salire in sella e non impegna
affatto per mantenerla in equilibri a velocità ridotta in mezzo al
traffico”. Così scriveva Motociclismo sul fascicolo di aprile del
1946 e proprio questa facilità della guida, che la caratterizza ancora
oggi, porterà al vero successo la Vespa.
Il suo motore viene costruito appositamente per questo veicolo: è un
semplice due tempi (98 cc, alesaggio x corsa 50 x 50 mm, miscela al 5%)
posizionato sul lato destro con l’albero secondario del cambio che è
innestato direttamente sulla ruota motrice. Il cambio a tre rapporti è
comandato dalla manopola girevole al manubrio che innesta le marce
tramite una serie di rinvii mentre l’albero motore ha sul lato sinistro
la frizione a dischi multipli e su quello destro il volano magnete, sul
quale è calettata la ventola per il raffreddamento forzato. Le ruote in
lamiera e scomponibili sono da 8 pollici (i pneumatici da 3,50) e
montate a sbalzo. Il telaio è una monoscocca saldata e la sola
sospensione è quella anteriore il cui molleggio è garantito da due molle
a chiocciola mentre dietro non esiste sospensione e il motore è montato
su un telaio costituito da un braccio tubolare dove si blocca il motore
e da una struttura ad U che si innesta alla scocca. La Vespa è
lunga 1.655 mm, ha la sella a 700 mm da terra e pesa a vuoto 60 kg. Le
prestazioni dichiarate sono modeste perché la potenza è di 3,2 CV a
4.500 giri, la velocità massima di 60 km/h e il consumo di 50 km/l.
I grandi pregi di questo veicolo sono quindi l’estrema facilità d’uso, la proiettività e l’affidabilità.
L’avviamento era facilissimo, la frizione non era poi molto dolce nel
distacco anche perché le guarnizioni dei dischi erano poco più che tappi
di sughero, gli innesti del cambio, di conseguenza, non erano proprio
prontissimi anche a causa dei giochi che si formavano lungo la via di
trasmissione delle lunghe bacchette che partivano dal manubrio per
arrivare al motore. La velocità massima era più vicina ai 55
km/h effettivi che ai 60 km/h dichiarati e il consumo si assestava sui
30 km/l al posto degli ottimistici 50. Ma la Vespa ripagava
abbondantemente perché sapeva digerire benzine e oli da miscela di
pessima qualità come le dissestate strade italiane, magari trasportando
ben più di due persone.
Dal numero 2-1996 di Motociclismo d’Epoca, dove è stato pubblicato un
corposo dossier, ben 38 pagine, sulla storia della prima Vespa, abbiamo
riportato gli aneddoti di Anchise Del Corso, classe 1925, entrato alla
Piaggio nel 1940 e in forza al reparto sperimentale e sala prove e dal
1945 al 1964. Del Corso ricorda alcune curiosità relative ai collaudi
delle prime Vespa: "Il raffreddamento della testa e del
cilindro non era omogeneo. Cosi l'ingegner D'Ascanio ebbe l'idea di
immettere borotalco nel convogliatore per vedere bene dove andasse (o
non andasse) a battere l'aria inviata dalla ventola. Seppure molto empirica, questa prova (eseguita naturalmente al
banco) diede indicazioni utili per migliorare il raffreddamento, ma
trasformò i presenti in pesci infarinati. Per provare la tenuta delle
gomme sul bagnato non si aspettava certo che piovesse: ci facevamo
gettare sulla strada, specialmente in curva, delle gran secchiate
d'acqua e poi ci passavamo sopra. Per affrettare il rodaggio dei motori,
aprivamo lo sportello del carburatore e ci facevamo precedere lungo una
strada polverosa da un mezzo che trascinava fascine, sollevando così un
gran polverone: Un po' ci entrava nei polmoni ma un po' anche nel
motore, determinando un perfetto accoppiamento tra cilindro e pistone”.
Sulle origini del nome Vespa si sono scritte molte “verità”, come
quella del rumore di scarico simile a quello prodotto dall’insetto, ma
la più accreditata è quella riferita al fatto che Enrico Piaggio
vedendola con quella sua codona e la vita sottile cavalcata da un
robusto collaudatore abbia detto “reggerà il peso con quella sua vitina da vespa?”. Ma esisteva un’altra Vespa, sempre a due ruote e costruita nel 1943 da un’altra azienda aeronautica, la MV Agusta.
Viste le sorti sicuramente già segnate della Seconda Guerra mondiale
anche la MV che produceva aerei su licenza e pure gli riparava, pensò di
riconvertirsi alla produzione di motociclette. Realizzato in gran
segreto un prototipo, nascondendolo ai soldati tedeschi che occupavano
la fabbrica, la moto era una semplice due tempi con motore di 98 cc, tre
marce e capace di una potenza di 3,5 CV a 4.800 giri. Pesava solo 70
kg, sfiorava i 65 km/h e costava 135.000 lire. E il suo nome, almeno
all’inizio era proprio Vespa, ma poi si rimediò sulla sigla che ne
evidenziava la cilindrata poiché la Miller Balsamo di Milano aveva già
depositato questo nome nel 1935. La Vespa di Piaggio ha questo nome
sullo scudo probabilmente perché non era considerata una “vera” moto, nonostante che nel brevetto depositato nell’aprile del 1946 la si presenti come: “motocicletta
a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con
parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica”.
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